Apriamo un ciclo di interviste sulla storia del frumento in Italia con il Prof. Tommaso Maggiore, già Professore Ordinario di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee e Accademico ordinario dei Georgofili, Firenze (nella foto in alto). Partiamo dalla storia del grano duro, agli inizi del ‘900: gli articoli successivi proseguiranno con l’arrivo della coltivazione al Nord e con l’evoluzione varietale supportata dalle nuove tecnologie.
Prof. Maggiore, la storia del grano duro, in Italia, parte dal Senatore Cappelli…ce la racconta?
Tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, in Italia il grano duro si trovava solo in Puglia e in Sicilia, dove si coltivavano sostanzialmente popolazioni locali. Dalla Russia si importavano grossi quantitativi che arrivavano al porticciolo di Gragnano, per la produzione della pasta. Parliamo della varietà Taganrok.
Le varietà più diffuse in Sicilia erano il Russello, le Timilie e le Saragolle, in Puglia sostanzialmente si trovavano le Saragolle. A Nazareno Strampelli, che ancora non sedeva sui banchi del Senato, venne chiesto di occuparsi anche del frumento duro nell’ambito delle sue attività di ricerca e sviluppo varietale. Non aveva grossa esperienza in questo ambito, ma accettò dal Sen. Raffele Cappelli, che sarebbe poi stato suo collega, di occuparsi della selezione di popolazioni di frumento duro provenienti dal Nord Africa. Inviò, quindi, il suo fattore Grimaldi, dell’az. San Pastore di Rieti, a Foggia chiedendogli di fare la selezione: nel 1915 Strampelli fu in grado di rilasciare una nuova varietà con il nome di Senatore Cappelli, in onore al signore che gli aveva fornito i materiali di partenza.
Che esito ebbe la nuova varietà di grano duro sul mercato?
Al solito, inizialmente la nuova varietà non ebbe grande successo, mancavano i mezzi per la diffusione tra gli agricoltori. Ricordiamo che, all’epoca, il materiale di propagazione veniva scambiato tra vicini e le selezioni erano tutte di tipo massale. Erano le donne, sull’aia, a selezionare le spighe migliori in base a dimensioni e colore, tirandole fuori dai covoni ammassati dopo la raccolta: la semente si ricavava in questo modo. E’ interessante notare come la bianconatura non fosse un criterio di scarto: le cariossidi bianconate erano di norma il 40-50% del totale. Se non pioveva tra fine aprile e inizio maggio, l’azoto non riusciva, infatti, ad essere adeguatamente traslocato nella granella e l’interno della cariosside restava farinoso.
In Italia, chi altro faceva selezione varietale in quegli anni?
Nessuno negli anni di cui abbiamo parlato prima, ma solo intorno al 1940 Ugo De Cillis, alla Stazione di Granicoltura di Catania, cominciò a fare selezione dei tipi Russello e Timilia. Non c’era molto altro…a De Cillis, trasferitosi nel 1945 a Roma presso l’Istituto di Genetica per la Cerealicoltura, alla Granicoltura di Catania successe Casale, suo ricercatore, e poi la moglie dello stesso Casale. I suoi incroci con popolazioni africane, avendo sempre come base il Cappelli, diedero vita alle varietà Capeiti 8 e Patrizio 6: la prima si diffuse soprattutto al Sud, in particolare ad opera dei consorzi agrari che, all’epoca e in quegli areali , erano i reali sementieri.
La situazione, al Sud come al Nord, era quella di assenza di moltiplicatori…
Si, era la stessa…o, comunque, si trattava perlopiù di commercianti: ad esempio questo avveniva nel foggiano. Era, quindi, fondamentale impegnarsi nel mantenimento in purezza dei materiali…questo perché gli agricoltori si passavano di mano in mano la semente, senza alcun controllo.
Erano le istituzioni ad interessarsi del mantenimento della biodiversità e della ricerca varietale: possiamo citare ad esempio il già ricordato Istituto di Genetica per la Cerealicoltura di Roma, l’Istituto di Genetica di Pisa con il nucleo della Casaccia, quindi l’Enea. Qui arriva Scarascia Mugnozza, trasferendosi da Scafati dove si occupava di tabacco: era una persona di grande capacità organizzativa, un intellettuale che avviò il lavoro del nucleo di ricerca. Intanto, De Cillis cercava di lavorare molto sul frumento duro, ma era convinto che la bassa taglia facesse perdere produttività. Reincrociando mutanti bassi ritrovati nelle popolazioni, infatti, non trovava vantaggi di resa, arrivando quasi a sostenere che abbassare la taglia non portasse alcun beneficio. Ma da qui parte tutta un’altra storia per il grano duro, che si sviluppa dagli anni ’60.
Fonte immagini: Prof. Tommaso Maggiore
Autore: Azzurra Giorgio
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