Prosegue il ciclo di interviste sulla storia del frumento in Italia con il Prof. Tommaso Maggiore, già Professore Ordinario di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee e Accademico ordinario dei Georgofili, Firenze (nella foto a lato). In questo articolo si racconta l’introduzione della coltivazione di grano duro al Nord Italia ed il ruolo dell’industria della pasta.
Prof. Maggiore, all’inizio del ‘900, in Italia il grano duro veniva coltivato solo al Sud?
Si, fino agli anni ’60 era confinato al Sud, sostanzialmente per motivi climatici: era opinione diffusa che le varietà di allora non superassero bene i rigori invernali, deprezzando la qualità della granella. Proprio negli anni ’60 ero impegnato, a Piacenza, nella mia tesi di laurea, concentrato sulle pratiche di concimazione del grano tenero. Nelle prove utilizzavamo il San Pastore, l’ultima varietà di Strampelli e ancora molto diffusa attraverso la Federconsorzi da Cirillo Maliani con San Pastore Famiglia 14: ci accorgemmo che con una concimazione oculata si potevano raggiungere risultati migliori per contenuto proteico.
A quel punto le venne in mente di fare delle prove in campo?
Nonostante il mio maestro, il Prof. Emilio Zanini, non fosse convinto, provai a seminare un ettaro di Senatore Capelli in un’azienda di un mio amico a Carpaneta (PC), azienda posta in una zona ben esposta. Con concimazione normale, quel campo ci rese da 50 a 55 q/ettaro, se non ricordo male, e granella esente da bianconatura …niente male come risultato. Quindi si poteva procedere con le prove: ne parlai con il Conte d’Aragona (amico del prof. Antoniani dell’Università di Bologna, che aveva visto il campo di Carpaneta) proprietario di un’azienda in pianura a Piacenza, e nell’ottobre del 1961 iniziammo a provare in parcelle una serie di varietà, comprese Capeiti e Patrizio.
Nel frattempo, Cirillo Maliani (ex ricercatore di Strampelli a Badia Polesine e costruttore dell’Istituto Di Genetica N. Strampelli, di Lonigo, trasferitosi a Roma come direttore dell’Ufficio sementi di Federcnsorzi) a Roma, con Brevedan, aveva avviato un programma di miglioramento genetico utilizzando anche materiali resistenti al freddo (costituiti da Forlani a Sant’Angelo Lodigiano) e cominciava a lanciare nuove varietà di duro, anche se non perfettamente stabili.
Come andò a finire?
Nel 1962 andai via da Piacenza, assunto da Eridania Zuccherifici Nazionali fui inviato a Foggia a impostare operativamente la coltura della bietola a semina autunnale. A Piacenza gli esperimenti sul frumento duro continuarono, con la collaborazione già avviata con il Dott. D’aragona, ad opera del Dott. Paolo Paris, assistente di Zanini (Direttore dell’Istituto di Agronomia della Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica). Nel 1965 comunque per “ grano duro” con Paris avevo partecipato a colloqui con un nostro compagno di studi, il dott. Ganapini, segretario di Barilla. Nell’estate dello stesso anno si arrivò a una convenzione tra Barilla e l’Istituto di Agronomia per sviluppare una vastissima sperimentazione sul grano duro al Nord. Con questa sperimentazione si dovevano fornire delle consistenti quantità di granella a Barilla, non avendo l’industria un laboratorio per prove di pastificazione di piccole dimensioni.
Barilla, allora, acquistò addirittura un mulino a Parma e creò un piccolo gruppo per fare le prove. Questa sperimentazione portò nel 1967 ad organizzare il primo convegno sul frumento duro al Nord, in cui Barilla e il gruppo di ricerca raccontarono quanto fatto e la qualità raggiunta. Finalmente si confermava che la pasta poteva essere fatta anche con il grano duro coltivato al Nord, in un momento in cui ancora sul mercato si trovava pasta prodotta con il tenero, non essendovi metodi di analisi per confermarlo.
Nella figura, la copertina ed alcuni estratti degli atti del convegno sulle prospettive dei grani duri al Nord
Nel 1966 ritorno a Piacenza, e collaboro con Paris con prove presso l’Az. Sperimentale Vittorio Tadini di Gariga di Podenzano, che stavo risistemando per la sperimentazione e presso la rete degli Uffici Agricoli di Zona dell’Ispettorato Agrario, diffusa in tutta la provincia (Fiorenzuola, Castel San Giovanni, Bettola, Rivergaro, Bobbio). E’ da ricordare che nelle prove erano presenti, oltre a Capeiti e Patrizio, le varietà di Maliani e quelle non ancora rilasciate di Resmini, costituite a Sant’Angelo Lodigiano (iscritte dopo, come Lambro e Belfuggito)
Quali elementi hanno fatto la differenza?
Sicuramente la maggiore redditività…l’industria ha dato una forte spinta, pensiamo a come il grano duro ha spopolato in regioni come le Marche. D’altra parte, non era usuale per le aziende di pastificazione avere un laboratorio interno, come capita adesso. In Istituto, a Roma, ne creammo uno per poter effettuare dei test nei programmi di selezione genetica, così da provare la resa alla pastificazione delle farine anche in F4. Non era necessario attendere un decennio per il termine del programma: si velocizzava, quindi, il processo di sviluppo varietale. Avevamo creato un vero e proprio pastificio in miniatura, adeguato alle piccole quantità ottenute nei nostri programmi di breeding.
Fonte immagini: Prof. Tommaso Maggiore
Autore: Azzurra Giorgio
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