Torniamo in Sicilia, questa volta in provincia di Agrigento, per parlare ancora di grano duro e della triste realtà di tanti cerealicoltori. Questo areale è vocato tradizionalmente alla coltivazione di frumento duro ma anche di alberi da frutto per la produzione di drupacee e pistacchi, ad esempio. Abbiamo parlato con Calogero Cremona, medico in pensione e figlio di agricoltori che aiuta le figlie nella conduzione di una azienda agricola dedita alla coltivazione di olive, mandorle, albicocche, pistacchi, vino e grano duro.
Quanto frumento coltivate?
Dedichiamo circa 15 ettari al frumento duro che è una coltivazione tipica delle nostre zone, come lo è anche l’uva, oltre alle drupacee e ai pistacchi. I nostri sono terreni fertili, da sempre molto produttivi. Siamo anche nel comprensorio della Diga del San Giovanni, quindi abbiamo una certa disponibilità irrigua che impieghiamo per i frutteti, coltivazioni a maggiore valore aggiunto.
Come è andata la stagione del grano?
Quest’anno abbiamo osservato una grande riduzione della produzione a causa della siccità: solo in marzo abbiamo avuto qualche pioggia leggera che ci ha salvato, altrimenti non avremmo raccolto nulla. Tanti agricoltori siciliani non hanno neanche trebbiato e hanno impiegato quel poco che era cresciuto come fieno…questa è una immagine che chiarisce il senso della grande siccità che abbiamo subito. Anche i nostri frutteti hanno sofferto per le temperature elevate, non potendo accumulare abbastanza giorni di freddo. Pure in questo caso la produzione si è ridotta, nonostante le irrigazioni abbiano dato sostegno alle piante.
Di che produzione parliamo per il grano?
Le rese sono state molto basse: 12-13 quintali per ettaro sono state le punte in positivo, già molto buone. Nella zona, ci sono stati casi di produzioni di 9-10 quintali per ettaro…è stato terribile. Consideri che nelle nostre zone, mediamente, otteniamo 15-16 quintali per ettaro, con punte di 20 quintali che rappresentano una grande eccellenza. Anche la qualità quest’anno non è stata ottima, seppur buona, essendoci meno cariossidi per pianta: è evidente che il grano abbia sofferto…
Avete mai pensato ad irrigazioni di soccorso?
Nonostante la nostra sia una zona irrigua, non si è mai pensato a soluzioni del genere…con il prezzo attuale del frumento non si riuscirebbe a coprire le spese. Il nostro prodotto è stoccato presso il commerciante di riferimento e non otterremo più di 30 centesimi al Kg. Anche considerando i contributi, non è un reddito accettabile e sostenibile.
Si torna sempre al mercato, quindi…
Certo, agli agricoltori italiani viene richiesto di seguire specifiche pratiche di coltivazione, di utilizzare semente certificata, insomma di sostenere costi e impegni gravosi. In cambio, il nostro prodotto compete sul mercato con quello importato su cui non c’è alcun controllo…con l’effetto di non poter superare i 30 centesimi al kg. Per dirla con un proverbio siciliano: “compro la legna e vendo la cenere”! Sarebbe importante che lo stato controllasse meticolosamente il grano che entra in Italia, dovrebbe esserci tracciabilità: d’altronde, per altri prodotti come quelli ortofrutticoli, la tracciabilità è richiesta per poter arrivare al cosumatore.
Sarebbe importante poter ripristinare le strutture associative come quelle dei consorzi agrari che riuscivano a garantire il prezzo per gli agricoltori: purtroppo nell’agrigentino non ci sono più…in Sicilia riescono a sopravvivere nel ragusano. Per il resto manca la cultura della cooperazione: i cerealicoltori, da soli, sono in balia degli speculatori e non possono che perdere. L’esito di tutto ciò non può che essere l’abbandono delle terre coltivate: con il loro lavoro, gli agricoltori mantengono le aree naturali in condizioni sane e adeguate per le prossime generazioni…le terre abbandonate sono in balia di incendi, non contengono le acque, sono destinate al peggio. Se non c’è remunerazione adeguata, le persone perdono la speranza ed emigrano, le nostre terre si svuoteranno.
Autore: Azzurra Giorgio
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