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CONCIMAZIONE DI FONDO SALTATA

Tempi duri per i cerealicoltori pugliesi: i rischi della riduzione delle spese

Dopo l’allarme infestanti, la Puglia è in allerta anche per gli scarsi investimenti sulle semine di frumento duro effettuati ad inizio stagione. Le risorse finanziare, dopo due anni di siccità, sono scarse e in tanti hanno saltato la concimazione di fondo. Il rischio, con gli accresciuti prezzi dei concimi azotati, è che non si dia adeguato nutrimento alle piantine di grano che, inoltre, sono attaccate dalle tante malerbe resistenti.  Il contoterzista e agricoltore Leonardo Di Stefano, con base nella zona di Ascoli Satriano, ci racconta le esperienze dei suoi campi e di quelli dei suoi clienti.

Concimazione saltata

In un momento come questo di grande difficoltà finanziaria, gli agricoltori pugliesi fanno ancora affidamento sui contributi europei o, almeno, si adoperano per ottenerli. All’inizio di questa stagione, infatti, tanti hanno dovuto rinunciare alla concimazione con l’obiettivo di ridurre le spese, saltando completamente la distribuzione di fosforo e azoto.

Di Stefano ci dice, infatti, che «in tanti campi si vede chiaramente l’ingiallimento delle piantine per la mancanza di azoto. Sarebbe ora di distribuirne per dare una spinta al nostro grano, ma i costi sono lievitati e tanti colleghi sono spaesati, alle prese con grosse difficoltà finanziarie. Intorno alla metà del mese di febbraio l’urea era arrivata a 56€/quintale, essendo partita da circa 43€/ quintale». E conclude: «nelle mie aziende, come in quelle dei miei clienti, abbiamo scelto di concimare: abbiamo distribuito alla semina fosforo al 46% e azoto al 18%, da qualche giorno abbiamo iniziato con l’urea. L’obiettivo è dare una spinta di energia al nostro grano, affinché cresca forte in uscita dall’inverno e sia in grado di competere adeguatamente contro le infestanti».

Vogliono far scomparire il grano

Gli agricoltori della zona di sentono persi e credono che la volontà delle istituzioni sia quella di far scomparire il frumento duro dalle regioni dell’Italia meridionale che, però, vi sono naturalmente vocate. Leonardo Di Stefano, dando voce a tanti agricoltori della zona, ci dice: «sono tante le aziende che hanno dovuto ridurre le superfici a grano duro, per le difficoltà economiche e per le politiche europee: c’è chi si è buttato sul coriandolo, chi sul colza, chi sulle leguminose. Ma i risultati non sono positivi: tante sono colture di nicchia, che non hanno uno sbocco sul mercato locale, come il coriandolo. In altri casi, come per il favino, le pratiche agricole con cui si è costretti a coltivare hanno portato ad una grandissima diffusione di infestanti come l’orobanche e i risultati al raccolto non sono soddisfacenti».

Insomma, siamo davvero sicuri che il grano duro al Sud debba davvero lasciare il posto ad altre colture? Quali sono i benefici di una politica di incentivo alla diversificazione dal punto di vista della sostenibilità sociale ed economica di questi areali, ma anche ambientale? E’ giunto il tempo che l’Europa si interroghi e trovi il modo di valorizzare le specificità locali e territoriali, lontano dai proclami e dalla demagogia, in nome di agricoltori che vogliono davvero essere custodi del territorio.

Autore: Azzurra Giorgio

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