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DIVIETO UREA: VALORE GIU’ DEL 45%

Pesanti danni causati dal provvedimento previsto per il 2028: vediamo gli scenari di Nomisma

Dal 1° gennaio 2028 il Piano Nazionale per il Miglioramento della Qualità dell’Aria imporrà il divieto di utilizzare urea nelle regioni del Bacino Padano (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna). L’obiettivo è ridurre le emissioni di ammoniaca, ma secondo l’analisi condotta da Nomisma per Assofertilizzanti, le conseguenze economiche e produttive per l’agricoltura potrebbero essere molto gravi. L’opportunità per presentare i risultati dello studio è stato il convegno organizzato a Roma da Assofertilizzanti, in occasione del 40° anniversario dalla sua fondazione. Oltre al Presidente Paolo Girelli, sono intervenuti alla tavola rotonda Massimiliano Giansanti (Confagricoltura), Ettore Prandini (Coldiretti), Massimiliano Fini (Cia-Agricoltori Italiani), Amedeo Reyneri (Professore ordinario dell’Università di Torino) e Paolo De Castro (Nomisma).

Il 44% dell’azoto viene dall’urea

Il Bacino Padano concentra oltre una parte rilevante delle superfici italiane di mais (80%), frumento tenero (70%) e riso (98%), con un valore della produzione agricola di 31 miliardi di euro, pari al 43% del totale nazionale. In quest’area, l’azoto apportato dall’urea rappresenta il 44% del totale fornito alle colture, grazie al suo basso costo (105 €/kg di N al 2.10.2025), alla reperibilità e alla facilità di gestione. I concimi alternativi hanno costi maggiori per unità di azoto, ad esempio nitrato ammonico o solfato ammonico costano dal 30% al 50% in più dell’urea, mentre altri fertilizzanti mierali o organo-minerali richiederebbero fino a 8 volte più quantità per fornire la stessa dose di azoto.

Eppure, i dati ISPRA mostrano che l’urea contribuisce in Italia solo allo 0,1% delle emissioni totali di gas serra e all’1,3% di quelle agricole, in un contesto di progressiva riduzione delle emissioni di ammoniaca.

Scenario pesante senza urea

L’analisi Nomisma ha simulato tre scenari. Nello scenario “business as usual”, le rese restano in linea con le attuali. In assenza totale di concimazione azotata minerale, le perdite nel lungo periodo arrivano al -71% del valore della produzione. Anche lo scenario “no urea” mostra effetti pesanti: -45% del valore complessivo, pari a 1,18 miliardi di euro di perdite annue per i soli cereali del Bacino Padano.

Nel dettaglio, lo scenario “no urea” vede rese del frumento tenero che potrebbero calare del 17%, quelle di frumento duro fino al -25%, quelle del mais fino al -36% e quelle del riso fino al -63%. Oltre alla quantità, peggiorerebbe anche la qualità: più aflatossine nel mais, meno glutine nel frumento, minore resa alla lavorazione del riso.

Secondo l’analisi, quindi, il divieto all’uso dell’urea, pur nato con finalità ambientali, rischia di compromettere la sostenibilità economica e produttiva della cerealicoltura padana, colpendo un pilastro dell’agricoltura italiana senza garantire reali benefici ambientali.

Autore: Azzurra Giorgio

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