Le sfide che spingono oggi l’evoluzione delle tecniche agronomiche sono molteplici e, spesso, contraddittorie. Da un lato la richiesta di produzioni elevate e di qualità, dall’altro la necessità di ridurre input chimici e impatti ambientali. In questo contesto, l’innovazione agronomica non è più un’opzione, ma una necessità: un percorso di transizione che richiede una visione integrata e olistica, capace di coniugare tecnologia, salute, identità produttiva, etica ambientale e pratiche rigenerative. Il racconto delle pratiche agronomiche degli ultimi 30 anni è quello del Prof. Massimo Blandino (DISAFA, Università degli Studi di Torinio) al convegno per il trentennale dell’AISTEC, Associazione Italiana di Scienza e Tecnologia dei Cereali.
Dall’intensificazione alla rigenerazione
Negli ultimi decenni, le priorità dell’agricoltura si sono spostate lungo un asse che un tempo sembrava inconciliabile: la tutela dell’ambiente e le logiche di mercato. Le linee guida di evoluzione del settore, prima tecnologica, poi sanitaria, identitaria ed etico-ambientale, sono giunte ad un bivio. L’agricoltura rigenerativa rappresenta oggi una possibile sintesi di questi due mondi, un approccio che punta a restituire fertilità ai suoli e resilienza agli agroecosistemi, mantenendo però sostenibilità economica e competitività delle imprese.
La concimazione evoluta
Un esempio emblematico di questa evoluzione, presentato da Massimo Blandino, riguarda la gestione della concimazione azotata. Negli anni lo schema di base – 1, 2 o 3 interventi in funzione della fase fenologica – non è cambiato molto. Ciò che si è trasformato è la logica con cui si decide dove, quando e come intervenire.
L’obiettivo non è più solo aumentare la resa ma modulare la disponibilità di azoto in funzione della qualità reologica del raccolto, riducendo al contempo sprechi e impatti ambientali. La concimazione tardiva, ad esempio, è sempre più mirata al miglioramento qualitativo del prodotto e non solo alla produttività.
Accanto alle esigenze produttive, emergono anche motivazioni sanitarie: una corretta gestione dell’azoto aiuta a contenere la formazione di acrilammide, sostanza indesiderata negli alimenti, legata all’accumulo di asparagina nel grano. Pianificare in modo accurato gli apporti azotati, soprattutto nelle fasi finali, è dunque anche una misura di sicurezza alimentare.
Parola d’ordine: gestire la variabilità
Se in passato la concimazione si basava su dispositivi per la misurazione del contenuto di clorofilla e su interventi uniformi, oggi la sfida è gestire la variabilità intra-parcellare. L’uso di sensori e indici vegetazionali come l’NDRE (Normalized Difference Red Edge) consente di calibrare gli apporti di azoto in modo sito-specifico, ottimizzando le risorse.
Questo approccio permette, secondo diverse esperienze, una riduzione degli apporti di azoto del 12-15%, mantenendo stabili le rese o, in alcuni casi, incrementandole leggermente grazie a un uso più efficiente degli input.
Autore: Azzurra Giorgio
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