La Basilicata come la Sicilia. L’areale lucano è tradizionalmente vocato alla produzione di grano duro, con oltre 100.000 ettari coltivati. Come la Sicilia, nella stagione 2023-24 ha sofferto una siccità molto intensa che ha portato a produzioni scarsissime.
Ce lo racconta Emilio Vesia (nella foto), cerealicoltore della collina materana, che abbiamo intervistato in questi giorni. Ci dichiara: «la mia non è una grande azienda, siamo sui 20 ettari. Nella scorsa stagione avrei potuto seminare qualche ettaro a grano duro, dovendo rispettare le rotazioni, ma ho preferito non farlo. Sono ormai due anni che non ne semino, considerata la redditività inesistente. Nella mia zona, comunque, per chi ha fatto grano l’annata è stata disastrosa…. In ogni caso, anche per i campi seminati a leguminose, la situazione è stata molto difficile: le colture in campo erano già seccate a febbraio, mentre per le semine primaverili, le piantine non sono neanche spuntate».
Non è il solo ad abbandonare il grano duro qui in Basilicata…
«Non sono il solo, anche altri stanno facendo questa scelta. Le assicuro, però, che per noi è una malattia non vedere i campi di grano: per noi il grano è storia, è cultura, significa davvero tanto. Io, come tanti altri agricoltori, faccio davvero fatica ad accettare questa situazione e non mi do pace. Non possiamo far morire una filiera per motivi che le istituzioni non vogliono realmente affrontare: le difficoltà economiche degli agricoltori, con costi alti e prezzi sempre più bassi, si sommano alle invasioni di grano estero nel periodo della trebbiatura. Si tratta di importazioni che il governo non può fermare, in nome del libero mercato»…
Qual è la destinazione principale del vostro frumento duro?
«Il grano lucano entra sia nella filiera pasta che in quella del pane: qui c’è largo uso di semola rimacinata per la panificazione. La pasta è quella pugliese: siamo vicini alla Puglia, dove Altamura è un punto strategico per la molitura del grano duro di provenienza italiana e estera. Si tratta di uno dei poli più importanti del Sud Italia che, in un giorno, molisce mediamente circa 40.000 quintali di grano duro. Insomma, la nostra granella viene ceduta a stoccatori e mulini pugliesi…mulini che, ormai, sono pieni di prodotto, soprattutto di importazione, e non accettano più nulla».
Cosa faranno i cerealicoltori lucani, allora, per la stagione 24-25?
«A prescindere dalle scelte di semina, che sono sempre più difficili riguardo al frumento duro, il rischio concreto è che non si riesca proprio a seminare. Pensi che siamo ad inizio ottobre e sono ormai 18 mesi che nella Basilicata orientale non piove. In alta collina, di questi tempi, si è normalmente prossimi alla semina…ma i terreni non lo permettono ad oggi. Ci sono seri problemi con le piogge e il Ministero dell’Agricoltura (MASAF, n.d.a.) non ci concede lo stato di calamità, come ha fatto per la Sicilia.
La nostra è una regione ricca di acqua, con almeno 5 dighe, ad oggi con livelli bassissimi. Le nostre risorse sono destinate normalmente alle coltivazioni intensive del metapontino, soprattutto arboree. Le zone destinate alla cerealicoltura, comunque, sono per la stragrande maggioranza non irrigue.
In ogni caso, oltre alla carenza di piogge, abbiamo paura per le condizioni di mercato: per ricevere l’accoppiato abbiamo l’obbligo di seme certificato e, ad oggi, 1 quintale di seme costa a noi agricoltori dai 70 agli 80 euro. Ad inizio trebbiatura i prezzi partivano da 37-38 euro/quintale e adesso, nonostante le rese scarsissime, sono scesi a 32 euro/quintale. Bisogna poi considerare che i commercianti non garantiscono nemmeno quel prezzo, facendo scontare all’agricoltore i loro costi di stoccaggio e trasporto. Così, il prezzo pagato all’agricoltore scende anche a 25-27 euro/quintale».
Foto di Emilio Vesia.
Autore: Azzurra Giorgio
Puoi seguirci anche sui social, siamo su Facebook, Instagram e Linkedin