La cerealicoltura può sopravvivere alla guerra commerciale scatenata da Trump investendo sulla produttività e recuperando il valore delle produzioni attraverso una collaborazione di filiera. A sostenerlo è Mauro Fanin, uno dei player più importanti del mercato dei cereali e della soia, con il suo gruppo Cereal Docks (1,4 miliardi di fatturato e oltre 400 dipendenti), attivo nel trading ma anche nella prima trasformazione agroalimentare con 11 stabilimenti produttivi. Lo abbiamo intervistato: ecco cosa pensa della situazione attuale.
Come valuta l’accordo Usa-Ue sui dazi?
Per quello che leggiamo e che ci arriva dalle associazioni del settore agricolo a Bruxelles c’è ancora solo una lettera di intenti di due pagine, che bisognerà declinare, ma è il segno di una distensione e i mercati vivono di previsioni. Piaccia o no l’accordo, almeno si sa di che morte si deve morire, conosciamo il punto di atterraggio.
E’ un accordo accettabile per l’agroalimentare europeo?
Sembrano essere dazi comunque sostenibili, per quanto indigesti, almeno per formaggio e altri prodotti food. Ancor più perché, nel frattempo, il dollaro si è rafforzato e il nuovo cambio aiuterà a mandar giù il rospo. Non a caso, le Borse hanno espresso un giudizio positivo, con un abbassamento dello spread e una ripresa: segno che hanno visto un faro in questa intesa, che, ripeto, non è vantaggiosa per noi europei.
Reggerà?
Non possiamo dare nulla per scontato con Trump e la politica dei dazi può precipitare da un momento all’altro. Tutto però sta funzionando abbastanza bene per il food, tutto sta andando abbastanza bene a livello di mercati: so bene che i cerealicoltori non saranno d’accordo, ma se guardiamo al quadro globale i prezzi delle materie prime come mais e grano sono stabili mediamente bassi ma stabili, e per il settore agroalimentare questo è positivo.
Perché il grano è valutato così poco?
Perché nei magazzini europei ce n’è tanto. La vicina Serbia – Paese in pre-adesione all’Ue – ha un milione di tonnellate invendute alla soglia dei raccolti. Per assurdo, si è rivalutato il mais per effetto dei rovesci climatici. Sono appena stato in Ungheria, Serbia, Croazia, Slovenia e Romania e la situazione è complicata per le colture estive in quanto giugno ha messo a dura prova lo sviluppo vegetativo. Il mercato della soia da noi risente delle logiche americane e se fosse stato veramente applicato un controdazio del 25% sulle importazioni statunitensi di questo prodotto, l’industria agroalimentare europea avrebbe dovuto fare i conti con una penalizzazione importante. Così non sarà, a quanto pare.
Quali sono i mercati che tirano?
Latte, carne e uova. I produttori di latte dovrebbero incorniciare quest’anno e investire nel benessere animale che ha dimostrato di essere la vera marcia in più. La competitività si costruisce investendo sull’animale, non cambiando il trattore appena si vede il segno più.
Siamo un mondo in guerra e daziato: quindi la globalizzazione è davvero finita?
Se ci saranno ancora degli accordi globali dipenderà dai Brics che stanno crescendo impetuosamente e ne hanno bisogno. Parliamo di un terzo del Pil e della metà della popolazione mondiale. Ma si tratta comunque di Paesi che pongono tanti punti di domanda dal punto di vista della stabilità sociale ed economica.
Tuttavia, scordiamoci la fase di pace che abbiamo vissuto: l’instabilità geopolitica e climatica condizioneranno sempre più pesantemente i mercati. La guerra in Ucraina ha spinto i russi a invadere i mercati dei cereali – pensiamo all’Africa e all’Egitto – con la forza di una produzione di 90 milioni di tonnellate di grano. Come possiamo pensare di condizionarli?
Quindi resterà questa instabilità?
I segnali non sono di distensione e all’Ue conviene essere più comunità, perché è piccola ed è la vittima perfetta per chi voglia colonizzarla: se parliamo di commodities agricole è la prospettiva cui lavorano Usa, Russia, la stessa Ucraina.
Poi c’è il clima…
Esatto. Questa instabilità ad aree potrebbe non essere eterna: finora, il fatto che le crisi climatiche esplodessero in Nordamerica prima e in Europa o in Africa poi consentiva di “compensare” ma se, come pare, gli effetti saranno più globali dovremo far fronte a problematiche di approvvigionamento di materie prime agricole sempre più frequenti.
Cosa consiglia ai produttori italiani di grano?
Abbiamo appena promosso un convegno a Cà Felicita che è la nostra azienda agricola – un laboratorio a cielo aperto di agricoltura innovativa in cui sperimentiamo le nuove tecniche di coltivazione sostenibile – dove climatologi e genetisti si sono confrontati. L’esito è chiaro. I produttori devono preservare la fertilità perché è il primo fattore competitivo e l’Europa deve sdoganare le Tecniche di evoluzione assistita (Tea) perché saranno la risposta europea, secondo noi vincente, agli Ogm americani e perché il cambiamento climatico, unito alla legittima richiesta del mercato di avere meno residui chimici, non ci permette di seguire nessun’altra strada per sostenere la produttività della pianta. Lo avrebbe sostenuto anche Strampelli.
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