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DOVE VAI, SE L’UREA NON CE L’HAI?

Il bando all’urea nel Bacino Padano: i suoi effetti sulle colture cerealicole secondo il Prof. Blandino

Quali sono i danni prevedibili per le aziende agricole della Pianura Padana in seguito al divieto di impiego dell’urea previsto per il 2028? Le tipiche colture di pieno campo delle grandi regioni agricole del Nord Italia potrebbero subire perdite ingenti, ma non in modo equivalente sulle colture cerealicole. Il Prof. Massimo Blandino (DISAFA, Università degli Studi di Torino) ci aiuta a capire quali sarebbero le coltivazioni più colpite e perchè. Il frumento, in particolare, potrebbe essere in qualche modo meno toccato dal provvedimento. In ogni caso, come ci ricorda Massimo Blandino, è necessario rivedere le logiche alla base delle scelte di nutrizione dei cerali nei nostri areali: urge ridurre gli impatti ambientali dovuti alle perdite di nutrienti minerali ma, anche, porre al centro la salute e la fertilità dei suoli attraverso pratiche più razionali.

Mais: la coltura più colpita

Tra le colture che più tipicamente si trovano nei sistemi agricoli e zootecnici padani, il Prof. Blandino ci spiega che «l’impatto del bando dell’urea in Pianura Padana risulterebbe molto rilevante per il mais, dove oggi l’impiego di questo fertilizzante è centrale». E prosegue illustrandoci lo scenario nel quale le aziende si andrebbero a trovare: «l’impiego di altri fertilizzanti, ed in particolare di concimi a base urea ricoperti o protetti, che ne rappresentano l’alternativa più prossima, comporterebbero in ogni caso un aumento dei costi colturali. Per limitare questo effetto è necessario ripensare le strategie di fertilizzazione per perseguire una più alta efficienza».

Rivedere le strategie di nutrizione

Il provvedimento previsto nel Piano Nazionale per la qualità dell’aria è espressione del necessario trend verso una razionalizzazione degli apporti di nutrienti azotati alle nostre colture: strategie adeguate, sostenibili e fattibili sono già disponibili per gli agricoltori. Massimo Blandino ci spiega: «il bando dell’urea è, infatti, solo un’ulteriore manifestazione della più generale necessità di limitare l’impiego di azoto di sintesi, riducendo gli apporti alle colture. Perché questo sia possibile è necessario valorizzare interventi di fertilizzazione minerali con ridottissime perdite ambientali, in grado di mantenere un’alta efficacia sullo stimolo vegetativo e la produttività delle colture. Inoltre, è necessario rivedere i sistemi colturali, ponendo al centro il miglioramento della fertilità del suolo (accumulo di sostanza organica, incremento della fertilità microbica, valorizzazione dell’azotofissazione delle leguminose nella rotazione delle colture e nel periodo intercolturale), integrato con genotipi e l’applicazione di pratiche agronomiche più efficienti nell’assorbimento dei nutrienti e nella loro traslocazione».

Impatti maggiori sui frumenti di forza?

Infine, Massimo Blandino ci illustra come il frumento possa essere colpito in misura parziale, seppure nella coltivazione di varietà di particolare valore. E’ problematico, però, che questo accada in un momento in cui i prezzi bassi della granella mettono sotto pressione la redditività delle aziende cerealicole. Ci dichiara: «rispetto al mais, l’impiego dell’urea nel frumento tenero in Pianura Padana è più limitato generalmente ai frumenti di forza, con applicazioni tardive (tra lo stadio fenologico di botticella e fioritura) per incrementare il contenuto proteico e rispondere a requisiti qualitativi.
Considerando che gli apporti complessivi sono compresi tra 30 e 60 unità di N, l’impatto economico derivante dall’impiego di concimi e strategie alternative è meno rilevante. Tuttavia, nel contesto attuale di marginalità sempre limitate per le aziende cerealicole, rimane fondamentale l’individuazione di soluzioni alternative ad alta efficacia, che permettano di ridurre le dosi di concimi azotati distribuiti, garantendo pienamente il raggiungimento degli obiettivi produttivi e qualitativi».

Autore: Azzurra Giorgio

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