Il grano tenero, che da una parte soffre i contraccolpi della guerra russo-ucraina, e il grano duro, che dall’altra sta vivendo la stagnazione dei mercati in seguito agli arrivi dalla Turchia, hanno dominato gli scenari degli ultimi mesi condizionando le semine autunnali. Inizia così l’analisi di Emanuele Occhi (Area Azione Economica Coldiretti – settore Grandi Colture) secondo il quale il conflitto continuerà a condizionare per molto tempo i mercati del frumento. Il crollo della produzione ucraina – di fatto dimezzata – ha ridisegnato sicuramente il mercato nordafricano, dove l’uscita di scena degli ucraini è stata “compensata” dall’avanzata dei russi, «che stanno vincendo tutte le aste a suon di ribassi» osserva l’analista. «Ovviamente, il frumento ucraino si è riversato sui mercati che riesce a raggiungere, cioè quelli europei, e siamo di fronte a una saturazione, con la conseguenza che i prezzi del frumento tenero sono crollati – sottolinea Occhi – passando dai 380/400 euro a tonnellata dell’anno scorso agli attuali 270».
L’Italia cosa può fare?
«Sul fronte del grano tenero l’Italia in termini produttivi gioco un ruolo marginale, perchè siamo deficitari: la produzione italiana copre il 35% del fabbisogno, su un mercato mondiale nel quale Cina India e Russia detengono oltre il 40% della produzione che cuba circa 780 milioni di tonnellate anno. Ci sono spazi di crescita, se i prezzi si rialzeranno, ma resta una situazione complicata».
Va meglio sul fronte del grano duro?
«Effettivamente, possiamo dire la nostra sul grano duro, dove siamo i secondi produttori dopo il Canada e dove la bolla della speculazione turca, che ha invaso i nostri mercati in piena estate, è ormai scoppiata, dopo aver fatto crollare i prezzi da 440 a 380 euro/ton; ci aspettiamo una ripresa tra gennaio e febbraio, anche se in questo momento i magazzini dei molini sono pieni e i listini sono fermi».
Riassumiamo la situazione del settore.
«Oggi sia su duro che su tenero il mercato è in sofferenza tenuto conto anche del fatto che il raccolto 2023 è stato seminato nel 2022 assorbendo pertanto l’aumento esponenziale dei costi dei mezzi tecnici, in primis gasolio e concimi. Per il duro, scontiamo l’invasione del prodotto duro turco che ha fatto crollare i prezzi; per il tenero soffriamo l’effetto domino della guerra che ha cambiato gli assetti geopolitici mondiali. Il mercato del tenero è molto sensibile alle minime variazioni perché i volumi esportabili rappresentano circa il 15% della produzione totale. Mentre la produzione ucraina si è dimezzata, oggi la Russia è diventata il primo esportatore al mondo di grano tenero con oltre 45.5 milioni di tonnellate esportate su 95 milioni prodotte. Dall’altra parte Ucraina ha cambiato le rotte di esportazione spostando il 40% del grano che prima andava in Asia e nord Africa all’Ue, attraverso rotte agevolate. Questo ha saturato i mercati interni e mantiene i prezzi bloccati. In più si tenga presente che la Cina oltre ad essere il primo produttore mondiale di grano tenero detiene anche oltre il 50% delle scorte mondiali. Quindi oggi non è semplice fare delle previsioni ma gli analisti si aspettano un aumento dei prezzi del frumento duro, per effetto dell’esaurimento della bolla turca e del crollo delle produzioni in Canada, mentre per il tenero si guarda a un insieme di fattori, fra i quali la strategia aggressiva dei prezzi della Russia. Restano due mercati profondamente diversi e sostanzialmente separati in Italia, sia per ragioni commerciali che per vincoli climatici».
Cosa può fare un sindacato agricolo?
«Insistere sui contratti di filiera, unico modo per uscire dalle logiche generali e speculative delle commodities, valorizzando le nostre produzioni nazionali. La cerealicoltura italiana ha una sola via: orientarsi sempre di più alla distintività, alla qualità e alle filiere tracciate fin dall’origine. Partendo dai valori del nostro sistema agroalimentare. L’Italia può aumentare significativamente le produzioni di grano duro e tenero dando certezza rispetto alla giusta redittualità per il lavoro degli agricoltori, con un equa distribuzione del valore lungo la catena produttiva, garantendo un prezzo minimo garantito. Coldiretti da anni porta avanti i contratti di filiera con i più importanti pastifici nazionali insieme oggi a Consorzi Agrari d’italia. I contratti di filiera rappresentano in poche parole lo strumento fondamentale per lo sviluppo del nostro made in Italy in un contesto caratterizzato da una grande instabilità internazionale ma anche dall’impatto sempre più rilevante dei cambiamenti climatici sull’attività d’impresa».
Coldiretti lavora da anni su varietà tradizionali come Senatore Cappelli: per le nicchie è un buon momento?
«E’ una opportunità, e non solo per Senatore Cappelli, a patto che ci sia la volontà di costruire un percorso di filiera».
Come sta vivendo questa fase il grano biologico?
«Su quasi 2 milioni di ettari coltivati a bio circa il 16% è destinato ai cereali (330.000 ettari), di cui il 34% a grano duro e il 10% a grano tenero. Anche per il bio vale quando detto per il convenzionale. Il salvagente rimane sempre il contratto di filiera. In Italia circa il 19% della Sau è occupata da colture biologiche, laddove la media europea è ferma all”8%. Nella sfida europea, che prevede di raggiungere il 25% di terreni bio, l’Italia si trova in vantaggio».
Autore: Paolo Viana