Nel mantovano sono in aumento le superfici coltivate a frumento. Rispetto al 2024, quando si seminarono 9.640 ettari di grano duro e 20.480 ettari di grano tenero, è previsto quest’anno un aumento 6/10%. Ne fanno le spese mais e soia. Ne parliamo con Edoardo Gibelli, referente frumento di Confagricoltura Mantova.
Da cosa dipende la tendenza dell’aumento delle superfici a frumento?
La tendenza ad aumentare il frumento andando ad erodere superfici alle altre culture e alle altre specie tipiche del mantovano è dettata dalla bassa redditività delle altre colture. L’aumento delle superfici a frumento è un po’ il termometro di una situazione di crisi dell’agricoltura padana che in realtà potrebbe produrre culture più intensive.
Quali sono i fattori che determinano questa crisi?
Fondamentalmente l’aumento dei costi, che sono rimasti allineati a quelli del periodo Covid e il crollo verticale dei ricavi che sono dimezzati. Il bilancio colturale risulta essere, nella migliore delle ipotesi, in pareggio, ma in pareggio di bilancio le aziende non sopravvivono, perché non riescono a investire, non riescono a portare a casa il reddito.
Incidono anche le importazioni dall’estero?
Certo, perché stanno ingolfando il mercato. È un po’ un’arma a doppio taglio perché le filiere DOP adesso si stanno alimentando con materie prime prevalentemente estere, il che metterebbe a repentaglio la classificazione di DOP. Adesso c’è una deroga secondo la quale si può acquistare un 50% della materia prima estera, però adesso sono ben sopra quella quota.
L’aumento delle superfici a frumento ne inficia la qualità?
In questa tendenza di voler estendere le superfici a frumento rientra anche chi non le sa coltivare. Specialmente il duro, qua al Nord, sta avendo grossi problemi di invecchiamento e di qualità. Questa scelta di estendere le superfici a frumento è dettata da una volontà di minori costi colturali ma alla fine si ha un raccolto di bassa qualità.
Quindi non è l’aumento di queste superfici a frumento che può essere la soluzione per un mercato stagnante?
No, anzi, quella è proprio è il canto del cigno, secondo me. Anche se anche dovesse tamponare, non va a eliminare le perdite che stiamo avendo sulle altre colture.
Ma allora cosa si potrebbe fare?
Ci deve essere un intervento mirato a sostegno della cerealicoltura: una distinzione e una valorizzazione del prodotto italiano, cosa che invece non sta avvenendo, anzi sta avvenendo esattamente l’opposto. Poi regole più stringenti sulle importazioni. Infine, la liberalizzazione delle tecniche genomiche, sia Tea che Ogm, che sono la chiave di volta per avere produttività, qualità e resistenza a un clima che sta cambiando
Da parte degli agricoltori, quando si decide mettere in atto una coltura, non bisogna lesinare sui costi. Ma bisogna cercare di portare a termine quella coltura nei migliori dei modi perché quantomeno si avrà una qualità che permetterà di tamponare le perdite.
Autore: Rachele Callegari
Puoi seguirci anche sui social, siamo su Facebook e Instagram