I ricercatori del CREA – Centro di Ricerca Ingegneria e Trasformazioni agroalimentari di Roma – hanno prodotto pasta integrale utilizzando sfarinato micronizzato di grano monococco e ne hanno testato le proprietà nutrizionali e il comportamento alla cottura. Ne hanno parlato al 13° Convegno dell’Associazione Italiana di Scienza e Tecnologia dei Cereali, svoltosi a Torino dal 19 al 21 giugno scorso. Tra i temi al centro dell’incontro, infatti, vi era l’innovazione delle filiere produttive in termini di processi tecnologici, valore d’uso delle materie prime e dei prodotti alimentari. Sempre più diffuso è l’interesse del pubblico per le specie antiche di frumento e per i cibi più salutari e sostenibili, così come è diffuso il riconoscimento della pasta secca come alimento ottimale per veicolare composti salutistici.
Il metodo dello studio sulla pasta di monococco
Le varietà testate di Triticum monococcum sono due, le cultivar Norberto (a seme vestito) e Hammurabi (a seme nudo), entrambe coltivate in regime biologico. Gli sfarinati integrali derivati dalla granella sono stati realizzati con un processo cosiddetto di micronizzazione, ovvero di macinazione ultrafine. La pasta era in formato spaghetti, prodotta con diagramma a bassa temperatura. Dopo la cottura, i ricercatori hanno confrontato gli spaghetti di monococco con la pasta di semola di grano duro e misurato una serie di indicatori di qualità tecnologica, nutrizionale e sensoriale. La pasta di semola di grano duro è, infatti, lo standard di riferimento sia per i produttori che per i consumatori di pasta secca.
Risultati
Le analisi hanno mostrato risultati interessanti, in particolare in relazione alle proprietà nutrizionali della pasta di monococco, rendendola possibile oggetto di processi produttivi innovativi nella produzione di pasta secca. I ricercatori confermano che la pasta integrale di monococco ha mostrato un «contenuto totale di fibra alimentare tre volte superiore rispetto alla pasta di semola di controllo». E proseguono: «il livello di amido resistente presente nella pasta ottenuta dalla cv Norberto è risultato significativamente superiore, sia rispetto alla pasta di semola, sia alla pasta integrale derivante dalla cultivar di monococco Hammurabi. La capacità antiossidante totale era significativamente più elevata (+43%, in media) nella pasta di monococco rispetto a quella della pasta di controllo, principalmente nella cv Hammurabi. Nonostante l’elevato contenuto proteico riscontrato nella granella di monococco (16-21% s.s.), l’indice di glutine è risultato piuttosto basso (0-50%)».
La cottura
I ricercatori hanno verificato anche i tempi di cottura e le conseguenza legate al comportamento della pasta di monococco in questa fase. Nello speficico, i tempi di cottura degli spaghetti di monococco sono stati mediamente di 7 minuti, in particolare per la varietà Hammurabi. I tempi sono ben inferiori rispetto a quelli della pasta di semola che registrava 10,3 minuti, in media. I motivi sono legati alla scarsa forza della maglia glutinica. Nonostante questo, «la valutazione sensoriale e strumentale della qualità in cottura della pasta ha evidenziato buone caratteristiche degli spaghetti di monococco, in particolare per il parametro del nervo”.
Anche un campione di 100 consumatori, nell’ambito del progetto CoSMo, ha individuato la pasta Hammurabi come la più gradita in un set di diversi formati di pasta, integrale e non integrale. Questi sono stati realizzati con farine di varietà Hammurabi e Norberto provenienti da aziende agricole sicilianae. «La cultivar Hammurabi, quindi, è risultata come il miglior compromesso tra prestazioni tecnologiche e caratteristiche nutrizionali e sensoriali» concludono i ricercatori «pertanto, nella formulazione di prodotti alimentari derivati da materie prime non convenzionali, una maggiore attenzione va riposta sulla scelta del genotipo, come suggerito dalle differenze osservate tra le paste di monococco ottenute dalle cultivar Norberto e Hammurabi oggetto di questo studio».
Fonte: AISTEC
Foto di archivio
Autore: Azzurra Giorgio
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