Angelo Frascarelli, Professore di Economia e Politica Agraria presso l’Università degli Studi di Perugia, ci illustra cosa è cambiato per un cerealicoltore con la PAC 2023-27, dandoci una prospettiva sul futuro dell’applicazione della strategia Farm to Fork dell’Unione Europea.
Come è cambiato il bilancio di un cerealicoltore con la nuova PAC?
Anche per chi fa frumento, il sostegno della PAC è sempre stato legato al rispetto di normative ambientali di sicurezza e qualità degli alimenti e benessere animale, parliamo della cosiddetta condizionalità. Anche in passato, infatti, si riceveva un sostegno a fronte della restituzione dei cosiddetti “beni pubblici ambientali”. La novità dal 2023 è che gli agricoltori ricevono lo stesso sostegno, anzi un sostegno inferiore dal punto di vista finanziario (se non altro per il mancato recupero dell’inflazione) ma a fronte di impegni maggiori, ovvero di una condizionalità “rafforzata”.
Parliamo, in particolare, della BCAA7 che impone la rotazione in due anni successivi: non è concesso fare grano su grano o mais su mais, ad esempio. Anche la BCAA8 che obbliga a destinare il 4% dei terreni a biodiversità ha generato non poche difficoltà: molti non hanno a disposizione fasce tampone o filari e devono tenere aree produttive a riposo. Questa è una delle principali motivazioni del malcoltento di fronte a questa Politica Comune.
La condizionalità rafforzata, quindi, è stata una delle principali cause di cambiamento ma è stata rilevante anche la novità degli Ecoschemi; si pensi, poi, ad altri impegni legati al sostegno accoppiato, come la necessità di utilizzare semente certificata. Insomma, un sostegno uguale o inferiore ma impegni maggiori, quindi costi più alti per l’azienda agricola.
Si può fare una stima dei costi incrementali?
Al momento non è possibile fare una stima realmente rappresentativa. La situazione cambia molto da azienda ad azienda. Si pensi solo alle aziende che producono Parmigiano Reggiano che non hanno problemi con la rotazione per la produzione di erba medica, mentre chi fa Grana Padano incontra più difficoltà per l’opportunità di produrre mais in monocoltura. La situazione cambia davvero molto da territorio a territorio: per chi fa frumento, non è più possibile fare il classico ringrano, al netto delle zone in cui ci sono state deroghe per l’aridocoltura. Ma si parla solo di alcune aree del sud Italia: in Toscana, Umbria e Marche, ad esempio, è stato necessario evitare il ringrano.
Come inserire il frumento in un piano di rotazione?
Fare rotazione è positivo, la letteratura scientifica lo conferma. Fare monocoltura significa rese minori, maggiori resistenze e maggiore richiesta di agrofarmaci. Però, in tanti casi, non ci sono alternative economiche: il sud è un caso classico, dove molte zone non hanno alternative valide al frumento. Si pensi di nuovo alla Toscana, con la Maremma, o alle colline marchigiane: la rotazione potrebbe essere fatta con girasole oppure con foraggere come trifoglio o erba medica, è vero. Però, spesso la siccità pone rischi elevati oppure non ci sono mercati di sbocco, magari perchè la zootecnia è ormai scomparsa.
Quali sono le problematiche legate all’Ecoschema 4?
Il primo problema è che l’Ecoschema 4 è troppo complicato: richiede l’avvicendamento con colture miglioratrici con vincoli eccessivamente complessi; ad esempio per alcune colture non è possibile fare trattamenti, per altre si. In secondo luogo, la remunerazione è stata appena di 50 €/ha (secondo gli ultimi dati di AGEA), a fronte di una previsione di 110 €/ha. Questo non può soddisfare l’agricoltore: la prospettiva è che nel 2025 ci sia una forte riduzione nell’adesione.
In generale, che impatti avrà la Farm to Fork sulla cerealicoltura?
Tre sono gli ambiti di cambiamento importanti per i cerealicoltori: agrofarmaci, fertilizzanti, agricoltura biologica. Sulla riduzione degli agrofarmaci, il problema maggiore è che, ad oggi, non è facile trovare metodi alternativi ai prodotti di sintesi, sia per il diserbo che per le malattie fungine. L’Europa ha già bocciato il percorso avviato attraverso il Parlamento: avrebbe implicato una riduzione del 62% da qui al 2030, assolutamente impraticabile e problematico per i cereali. Ciò non significa che la direzione futura non sia questa: è vero, però, che il percorso richiede più tempo e condizioni adeguate per sostituire la chimica di sintesi. Ad esempio, attraverso piante più resistenti: qui la genetica può dare un contributo importante. Ancora, si possono mutuare soluzioni dall’agricoltura biologica, si pensi alla lotta agli insetti dannosi o alle malattie fungine, al diserbo: i metodi sono promettenti ma non ancora cantierabili.
Quindi la prospettiva è la Farm to fork, ma nei tempi adeguati. Ricordiamoci che l’agricoltore deve produrre, altrimenti non fa reddito: la chimica di sintesi può essere superata ma con valide alternative, l’inovazione e la ricerca stanno lavorando e hanno bisogno di tempo.
Autore: Azzurra Giorgio
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