Se quest’anno convenga o meno seminare grano non dipende tanto dal prezzo ma dai costi, ci spiega in questa intervista Vincenzo Lenucci, direttore del dipartimento delle Politiche Sviluppo Economico delle Filiere Agroalimentari di Confagricoltura – «nel senso che i prezzi sono calati ma si mantengono sui livelli precedenti al 2021, se non a un livello leggermente superiore per alcune varietà. Il problema è che i costi di produzione hanno avuto un picco due anni fa e non sono mai scesi, come hanno fatto invece le quotazioni».
I cerealicoltori italiani potrebbero investire in altre colture?
«È una possibilità. Naturalmente, stiamo facendo un unico discorso su un comparto che si divide in due macro aree e in diversi mercati, ma il quadro è sempre quello di un Paese deficitario, che se non raccoglie deve importare. Per restare al grano duro ci servono due milioni di tonnellate oltre le quattro che produciamo. Siamo al 70% del fabbisogno e nel frumento tenero ci fermiamo addirittura al 36%».
I prezzi sono aumentati tra 2021 e 2022 a causa della guerra. Poi, il calo. Cosa dobbiamo aspettarci?
«L’incremento dei prezzi all’origine (+19,4% per il duro e +50,1% per il tenero tra settembre 2021 e giugno 2022) più che alla instabilità dei mercati è stato connesso all’aumento dei costi ed ha determinato anche una inflazione al consumo da materie prime amplificata anche dall’incremento dei costi nella fase di trasformazione. L’inflazione, è destinata a rimanere elevata se i costi non si conterranno quindi, in tutte le fasi della filiera; mentre sarà determinante per gli investimenti anche l’andamento dei tassi d’interesse. Se la discesa dei costi non sarà immediata si rischia che gli agricoltori coltiveranno meno frumento, e parlo soprattutto di grano duro, sia perchè, sia per altre cause».
Oltre ai costi, cosa fa passare la voglia di seminare frumento?
«La Pac e il clima. Come accennavo, l’ettarato di frumento tenero negli ultimi anni è costantemente aumentato, ma non è successo lo stesso per la produzione rimasta praticamente invariata. Il clima rende più complesse le decisioni agronomiche, è chiaro: la siccità del 2022 e del 2023 ha ridotto notevolmente le rese unitarie. Poi ci sono i vincoli della politica agricola comune, la “condizionalità rafforzata” che quest’anno diventeranno più stringenti perchè parte dopo un anno di deroga l’obbligo di avvicendamento: non si potrà più ringranare, se non nelle zone di arido-coltura. Ma abbiamo anche le norme che impongono di destinare ettari alla biodiversità, con una sorta di set-aside. Infine, se si vuole percepire l’aiuto accoppiato per il grano duro da quest’anno bisogna usare semente certificata. Un altro costo a carico degli agricoltori, senza contare che potrebbero esserci delle carenze nella disponibilità reale della semente certificata, ni particolare per alcune varietà più gettonate».
Autore: Paolo Viana