Nell’ultima settimana di contrattazioni del 2025 il frumento resta sostanzialmente fermo, con borse che riflettono un clima di attesa e di chiusura dell’annata commerciale. La stabilità diffusa, in auge ormai da alcune settimane, è sostenuta da scambi ridotti ma regolari. Questi sono frutto delle coperture adeguate degli utilizzatori, della cautela dei produttori e di una logistica nordamericana ancora appesantita. L’assenza di impulsi nuovi consolida i livelli di prezzo già osservati nelle settimane precedenti. Le prospettive di medio termine sono orientate alla stabilità o al ribasso, a causa di un’offerta attuale e prevista elevata.
POTENZIALI RIBASSI NEL NUOVO ANNO
La situazione dell’offerta di grano duro non mostra variazioni significative da settimane nelle borse nostrane, mentre l’attività molitoria si mantiene su livelli medi, contribuendo a consolidare i mercati lungo tutta la Penisola. Resta buona anche la disponibilità di alternative estere ad alto contenuto proteico, necessarie per migliorare i parametri delle miscele di macinazione. Il contesto valutario favorevole (€ forte) rende tali origini competitive nel rapporto qualità/prezzo. Sul fronte agronomico, i progressi del nuovo raccolto sono in linea con la media stagionale, sia a livello nazionale sia in Europa. Sulle piazze comunitarie intanto non si registrano mutamenti nei fondamentali di mercato, sebbene emerga una crescente attenzione verso uno scenario mondiale potenzialmente ribassista per il 2026. Sul piano globale infatti l’offerta resta ampia, trainata dal Nordamerica e da buoni raccolti nel bacino del Mar Nero.
Le borse del grano tenero confermano quotazioni e scenario di inizio dicembre, con scambi rallentati per le adeguate coperture degli utilizzatori. Le prospettive del nuovo raccolto restano positive per tutte le classi merceologiche, con offerta locale e rimpiazzi comunitari ed esteri ben presenti. In Europa si registra la pressione dell’offerta estera e del rafforzamento dell’euro, che favorisce le origini in area dollaro. In Francia le stime di export vengono così ridotte, mentre nel Nord-Est europeo i prezzi restano fermi ma da rivalutare nel 2026. A livello mondiale l’ampia disponibilità porta a temere anche per tenero ribassi nel nuovo anno, con pressione da Emisfero Sud e area russo-ucraina, nonostante il buon ritmo dell’export Usa. Futures ancora in calo, come accaduto nella settimana precedente (LEGGI).
TERRENZIO: «ULTERIORI RIBASSI PORTEREBBERO ALL’ABBANDONO»
Approfondiamo il momento del grano duro con Maria Luisa Terrenzio, presidente di Anga Foggia: «In Capitanata, dove mediamente 250 mila ettari sono investiti ogni anno a grano duro, questo cereale non è solo un comparto produttivo ma una parte fondamentale del tessuto economico locale. Oggi gli agricoltori sono messi all’angolo: producono sotto costo, come confermato anche dai dati Ismea, e faticano a programmare il futuro. Non si può continuare a chiedere alle aziende di reggere un mercato che non riconosce il valore del prodotto e che scarica tutta la volatilità sui produttori. A questo si aggiunge una criticità grave sul fronte idrico: il mancato collegamento tra la Diga del Liscione (Molise) e la Diga di Occhito (Puglia/Molise) sta privando la Capitanata di una risorsa essenziale proprio in una fase decisiva per la coltura.
Come Anga Foggia stiamo portando queste istanze all’attenzione dei parlamentari e delle istituzioni, avanzando proposte concrete per limitare i danni in una fase di mercato che definirei folle. Continuiamo a vendere sotto costo e questo sta generando difficoltà anche nelle semine: molti agricoltori stanno rimandando o valutando colture alternative, con possibili ripercussioni su tutta la filiera agroalimentare, dalla trasformazione alla pasta. Le filiere identitarie e i contratti di qualità, come quelle che stiamo cercando di costruire con marchi come La Molisana e Granoro, rappresentano una strada importante, ma restano nicchie. Il mercato globale pesa molto di più e, se dovessero arrivare ulteriori ribassi nel 2026, il rischio sarebbe un vero e proprio abbandono della cerealicoltura in queste zone. Sarebbe una perdita enorme per la provincia di Foggia e per l’agricoltura italiana nel suo complesso».









