Rilanciare la vocazione cerealicola della Romagna e farne il nuovo “granaio del Nord”: è la proposta di Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini: il recupero delle superfici agricole incolte potrebbe essere indirizzato alla cerealicoltura, se i Comuni del territorio romagnolo procederanno senza indugio alla mappatura delle terre silenti o abbandonate, mettendole a disposizione di chi intende coltivare cereali: una coltura che può essere avviata in tempi rapidi.
“Siamo in un momento decisivo – dichiara Daniele Montemaggi, presidente di Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini –. I cambiamenti climatici stanno rendendo sempre più difficile e costosa la cerealicoltura nelle regioni del Sud. La Romagna, con la sua storia agricola, può tornare a produrre cereali con rese e qualità elevate. Serve una strategia chiara, che coinvolga enti locali e Governo: recuperiamo le aree marginali, offriamo incentivi ai giovani cerealicoltori e valorizziamo il ruolo di questa coltura nella filiera della pasta, simbolo del Made in Italy”.
Dai dati della Camera di Commercio della Romagna emerge come il comparto, pur tra difficoltà legate ai mercati e agli eventi climatici, mantenga una forte vitalità. Nel 2024 la PLV cerealicola ha superato i 20 milioni di euro nella provincia di Forlì-Cesena, incidendo per il 4,1% sulla produzione agricola complessiva, in netta crescita rispetto al 2,6% del 2014. Nella provincia di Rimini, i cereali rappresentano oggi il 7,5% della PLV agricola, con un valore che sfiora i 9,3 milioni di euro.
Tuttavia, a fronte del recupero produttivo (+18,5% a Forlì-Cesena nel 2024), le superfici investite in cereali (SAU) si stanno riducendo: -21% tra Forlivese e Cesenate, -16,6% nel Riminese, con un calo particolarmente evidente nelle aree collinari, dove pesa ancora l’impatto dell’alluvione del 2023.
“Non possiamo accettare che questi terreni restino incolti o vengano abbandonati – commenta il direttore Luca Gasparini –. Con il progressivo estirpo dei frutteti, è essenziale trovare una destinazione produttiva che sia sostenibile, immediata e utile al Paese. I cereali rispondono a queste tre condizioni: possono essere coltivati con tecniche conservative, riducono l’erosione del suolo, mantengono la fertilità e rafforzano le filiere nazionali”.
Il frumento tenero resta il pilastro della produzione cerealicola romagnola, con una PLV in crescita nel 2024 (+6%), mentre orzo e frumento duro hanno sofferto i cali di prezzo. LaPLV per ettaro supera i mille euro: servono misure per rendere il comparto nuovamente competitivo, sostenendolo con politiche mirate e filiere integrate.
“L’Italia ha fame di cereali, non possiamo dipendere dai mercati esteri – conclude Gasparini –. Vogliamo tornare a seminare grano in collina, ridare valore ai campi abbandonati e offrire nuove opportunità a una generazione di agricoltori che cerca futuro”.