Grano italiano racconta l’esperienza di Luigi Maccaferri, cerealicoltore e presidente di COPROB-Italia Zuccheri, che condivide con i lettori gli strumenti e le pratiche agricole che impiega per sostenere la redditività della sua azienda agricola. Vediamo quali sono le lavorazioni più adeguate alla natura dei terreni delle sue aziende e quali scelte ha compiuto in base alle difficili condizioni meteorologiche della stagione.
Luigi Maccaferri, quali varietà di frumento semina?
«Sul totale delle superfici a frumento, normalmente semino il 30% di grano duro e il 70% di grano tenero. Quest’anno, viste le difficoltà per preparare i terreni, abbiamo preso la decisione di non seminare grano duro. L’autunno scorso, infatti, è stato particolarmente piovoso e questo ha compromesso la corretta preparazione dei terreni. Ho preferito usare dei frumenti teneri che hanno normalmente meno problemi legati all’asfissia radicale e alle malattie fungine, sono più rustici. La scelta è caduta su un grano di forza, il Bologna, e due grani bianchi, Angelicum – più produttivo – e Bellini – più costante e stabile dal punto di vista delle rese. L’andamento meteo della stagione mi sta dando ragione…in questi periodi facciamo fatica ad entrare in campo per i diserbi, infatti».
Quali sono le vostre produzioni?
«Nella maggior parte dei casi con i frumenti teneri riusciamo ad arrivare agli 80 quintali/ ettaro, in alcuni anni anche oltre. Anche il frumento duro ci da delle buone soddisfazioni, ovviamente scegliendo le varietà che più si adattano ai nostri terreni. Nelle nostre aziende abbiamo, infatti, valori di argilla che arrivano anche intorno al 60-65%: su questi terreni, il duro può raggiungere delle buone performance».
Come lavorate il terreno?
«Non prepariamo i terreni con l’aratura in quanto si tratta di una operazione altamente costosa. Effettuiamo, in ogni caso, sempre una dissodatura e, poi, una lavorazione con erpice rotante per pareggiare il terreno. Questo consente all’acqua di sgrondare e al terreno di arieggiare: nei nostri suoli piuttosto pesanti, che si compattano rapidamente, la dissodatura è fondamentale per scongiurare il ristagno idrico e far respirare le radici. Non effettuiamo minima lavorazione nè semina su sodo, quest’ultima ritengo si possa effettuare solo dopo la rottura di un medicaio da destinare a frumento».
Tra primavera e autunno c’è stata tanta pioggia: che conseguenze avete avuto?
«Fortunatamente non abbiamo avuto danni a causa delle alluvioni recenti che hanno colpito l’Emilia Romagna. D’altra parte, è vero quello che dicevano i nostri nonni, ovvero che “sotto l’acqua c’è fame”. Durante il 2024 la pioggia è stata molto frequente ma siamo stati in grado di controllare le malattie: avendo tutti i mezzi a disposizione, riusciamo ad intervenire in campo ogni volta che ce n’è bisogno. La tempestività, quindi, ha pagato: anche i valori di micotossine rilevati sono stati nulli o, comunque, entro i limiti ammessi. In termini di raccolto, però, i danni ci sono stati: le piogge e le grandinate di fine stagione hanno pregiudicato le rese. Per fortuna avevamo le adeguate coperture assicurative, ma le produzioni si sono fermate intorno ai 60 quintali/ ettaro».
Ha aderito alle misure della PAC? Si ritiene soddisfatto?
«Con quasi la totalità dell’azienda abbiamo aderito alla SRA01, Produzione integrata, e all’ecoschema 4 perchè, facendo già la rotazione, mi sembrava naturale. La produzione integrata e l’adesione al SQNPI, in ogni caso, è una scelta vincente: chi aderisce segue disciplinari virtuosi che fanno lavorare in modo molto positivo. Riguardo all’Ecoschema, però, non siamo soddisfatti del premio economico che si è rivelato troppo basso, soprattutto a confronto con i costi di produzione che sono aumentati di almeno il 20% rispetto a prima della pandemia. La PAC dovrebbe compensare adeguatamente gli impegni degli agricoltori; in alternativa, dovrebbero esserci interventi per calmierare i prezzi o, almeno, per la tutelare i produttori, ad esempio con regole commerciali di reciprocità. Il prezzo del nostro grano non è in linea con i costi di produzione, così come accade per tanti altri prodotti agricoli.
Purtroppo i contributi europei sono in costante diminuzione ma noi agricoltori abbiamo l’onere di custodire il territorio, se non addirittura di manutenerlo in tanti casi: se andiamo a produrre non tanto sottocosto ma, sostanzialmente, con nessun margine di guadagno, non possiamo dirci soddisfatti. Mi auguro che nei prossimi anni ci siano le condizioni per recuperare il valore delle nostre produzioni, anche perchè, nei miei territori, il grano è sempre stata la prima fonte di sostentamento. La festa per la comunità è quando si inizia a trebbiare, quando si materializza il primo reddito dell’azienda agricola. Sarebbe importante avere un giusto riconoscimento economico che, negli ultimi anni, è un po’ mancato».
Autore: Azzurra Giorgio
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