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AZIENDE A RISCHIO

Cosa rischia il comparto cerealicolo con la riforma della PAC proposta dalla Commissione: il parere di Chiara Dossi

Mentre la Commissione Europea dichiara di star adottando misure per permettere agli Stati membri di versare anticipi più elevati per la PAC dal prossimo 16 ottobre, gli agricoltori non dimenticano lo spettro della riforma proposta per il 2028. In una nota (leggi qui), infatti, la Commissione spiega che l’obiettivo sarebbe aiutare le aziende ad affrontare i problemi di liquidità dovuti ad una combinazione eccezionale di eventi meteo avversi e tensioni commerciali. In questo caso, gli anticipi sui pagamenti diretti potranno arrivare fino al 70 % rispetto all’attuale 50 %.

Questo, però, non basta a cancellare i malumori e, soprattutto, la preoccupazione del mondo agricolo su come andrà a finire il percorso di approvazione del nuovo Quadro Finanziario Pluriennale. Abbiamo chiesto cosa ne pensa a proposito della riforma a Chiara Dossi (nella foto), cerealicoltore della provinica di Rovigo e presidente di Confagricoltura Donna Veneto: il quadro che ci descrive è quello di una grave preoccupazione da parte dei cerealicoltori. A rischio c’è la sopravvivenza stessa delle aziende, in un contesto in cui il comparto agricolo sembra il settore più facilmente sacrificabile a fronte delle scelte europeee.

Da cerealicoltore, qual è la sua prima impressione sulla proposta del 16 luglio per la nuova PAC?

«Le prime impressioni non possono essere positive: il taglio ai fondi è notevole. Si parla di una taglio del 20% in valore nominale che si tradurrà in un taglio reale del 30% se si considera la svalutazione monetaria. Si passerebbe dai circa 380 miliardi di euro attuali a poco più di 300. Il fatto poi di prevedere anche l’inserimento in un unico fondo, gestito insieme con altre misure (quale la coesione e lo sviluppo territoriale, le politiche sociali europee), lascia pensare che il ruolo assegnato all’agricoltura da parte dell’Europa sarà assolutamente marginale. Questo a dispetto di quanto dichiarato dalla Presidente Ursula Von der Leyen, subito dopo le elezioni europee.

Si ha, al contrario, la sensazione che a fronte di qualsiasi scelta europea, il settore più facilmente sacrificabile sia il comparto agricolo. Per non parlare di quello legato alla cerealicoltura, le cui produzioni vengono spesso utilizzate come “merce di scambio”  per ottenere vantaggi a favore di altri settori industriali/ produttivi, ritenuti più importanti a livello comunitario».

Quali sono i punti più controversi e quali quelli da salvare?

«I punti più controversi, oltre al notevole taglio dei contributi ( assolutamente insufficienti per le sfide che l’agricoltura deve affrontare in questi anni) e al loro inserimento in un fondo unico, riguarderanno il nuovo meccanismo di pagamento. Questo prevederebbe altresì di programmare gli interventi a livello nazionale per ogni Stato membro, con il rischio di una insidiosa nazionalizzazione della politica agricola che non garantisca un unico ed equo mercato. Altro elemento negativo è  l’eliminazione del secondo pilastro e il relativo passaggio attraverso le Regioni, strumenti indispensabili per individuare le misure necessarie e specifiche per lo sviluppo rurale e l’innovazione tecnologica.

Tuttavia, è da valutare positivamente il fatto che verranno aboliti gli ecoschemi, che verranno sostituiti da “impegni di gestione ed azioni di transizioni”. Il tema della condizionalità ambientale, invece, sarà demandata al singolo Stato membro che avrà l’arduo compito di individuare degli strumenti e dei sistemi idonei per conciliare sostenibilità ambientale ed economica delle aziende».

Quali sarebbero i rischi maggiori per le aziende agricole come la sua dal 2028?

«Per le aziende cerealicole come la mia, i rischi legati al taglio dei contributi sono notevoli. I margini di redditività sono sempre più ridotti a causa dei costanti aumenti dei costi produttivi e della potenziale riduzione di produzioni per i cambiamenti climatici. C’è, poi, anche la volatilità dei prezzi delle produzioni dovuta a problemi geopolitici e climatici ma anche, spesso, oggetto di speculazioni non controllabili.

Tale assoluta incertezza, comporta un vero e proprio rischio di sopravvivenza delle aziende, soprattutto quelle in cui manca o è in dubbio  il ricambio generazionale.  Per  altre diventa molto complicato programmare gli investimenti a medio termine, soprattutto in termini di innovazione e tecnologia, importantissime alleate per la produttività e la competitività».

Se la proposta dovesse essere approvata, quali sono le strategie che i cerealicoltori dovrebbero avviare per sostenere le loro attività?

«Nella denegata ipotesi in cui la PAC proposta dovesse essere confermata, le aziende cerealicole dovrebbero, più che mai, collaborare e coordinarsi tra di loro al fine di trovare un modello di cooperazione. Per condividere innovazione e tecnologia e per rafforzare la propria posizione all’interno delle filiere (non dimentichiamoci che le nostre produzioni sono garanzia di sicurezza e qualità alimentare). Inoltre, dovrebbero incentivare il sostegno alla ricerca scientifica per la soluzione alle sfide climatiche e differenziare le produzioni per una migliore distribuzione del rischio. Importante è anche adottare tecniche agricole per massimizzare le rese, unitamente ad una gestione idrica efficiente, fondamentale per le nostre produzioni».

Autore: Azzurra Giorgio

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