La guerra all’urea è una speculazione politica ed economica. Vediamo perché. L’Unione Europea preme da tempo perché si vieti l’uso di fertilizzanti ad alto impatto ambientale e il governo italiano si sarebbe fatto convincere a sacrificare l’urea, vietandolo soprattutto in Pianura Padana, per abbassare il livello di polveri sottili. Questa misura, ancora in fase di discussione, danneggerebbe i cerealicoltori italiani, che fanno largo uso di questo fertilizzante, uno dei più utilizzati per il suo elevato contenuto di azoto (46%) e, fino a ieri, quello con il costo unità fertilizzate più basso tra gli azotati.
Le accuse all’urea
Si accusa l’urea di generare elevate perdite di azoto sotto forma di ammoniaca e protossido di azoto: il primo contribuisce alla formazione di particolato atmosferico, il secondo è un gas serra (oltre 300 volte più potente della CO₂). In verità ci sono molti dubbi che l’inquinamento dipenda dall’attività agricola. Nel 2020, quando il mondo è stato costretto a fermarsi, il particolato atmosferico è sceso vistosamente: eppure, si continuava a utilizzare l’urea nei campi. Anzi, se ne usava di più, perché il blocco dei commerci imponeva di intensificare la produzione agricola e zootecnica. Evidentemente, sono altre le fonti di inquinamento, che l’Europa però non vuole toccare, perché è più comodo prendersela con un mondo agricolo diviso e politicamente schierato, quindi con scarsa capacità negoziale.
In caso di divieto all’uso dell’urea, i cerealicoltori sarebbero costretti a sostituire questa sostanza con altre soluzioni fertilizzanti di tipo organo-minerale, con soluzioni di tipo organico come letami e compost o con digestati. Questi hanno costi di distribuzione molto alti e un titolo in elementi nutritivi molto basso, necessitano di grandi volumi ad ettaro per avere le stesse unità fertilizzanti dei concimi di sintesi. La Germania obbliga l’uso urea addizionata con l’inibitore NBPT, come vorrebbe l’Europa, ma questa formulazione aggiunge un 10 % circa al costo dell’urea, mentre una sostituzione totale con nitrato ammonico potrebbe aumentare il costo di 30‑40 %.
La speculazione sui mercati
In parallelo, l’urea è diventata nuovamente oggetto di speculazione, dopo essere schizzata alle stelle in passato, per effetto della crisi energetica. A metà giugno, il prezzo ha raggiunto 381,50 USD/tonnellata a livello internazionale, crescendo del 22 % al di sopra dei livelli storici recenti. Sul mercato italiano i prezzi all’ingrosso della Urea 46% nelle ultime 10 settimane hanno oscillato tra 330 – 380 €/t bulck partenza porto.
La speculazione è orchestrata dagli importatori che ad ogni movimento di Yara, il maggior produttore di urea di qualità in Europa e in Italia (il cui prodotto è passato da 395 a 418 euro a tonnellata f.co partenza sito produttivo), aggiornano al rialzo i propri listini, spesso muovendosi all’unisono, come se fossero un cartello. Il prodotto che arriva dall’Africa non è certamente dei migliori, ma in tempi di guerre commerciali – e di oscillazioni del prezzo dell’energia, da cui dipendono i costi dell’industria dei fertilizzanti – è benzina sul fuoco della speculazione.
Si aggiunge la guerra
Aggiungiamoci il capitolo bellico. L’introduzione di dazi europei su fertilizzanti russi e bielorussi (da 40 a 43 €/t entro il 2028) in realtà già in vigore dal 1 luglio 2025 e via via progressivi, deliberata come sanzione, potrebbe far lievitare ulteriormente i prezzi. Con un paradosso. I russi controllano finanziariamente, attraverso società acquistate in Europa e Nord Africa, e anche siti produttivi lituani di urea e prodotti fosfatici, possono aggirare in questo modo le sanzioni, speculando a loro volta sui rialzi provocati proprio da quelle sanzioni che dovrebbero colpirli. Urea, NP 18-46 e cloruro di potassio cambiano codice di origine produzione – non appena lasciati certi porti: in questo momento, ci sarebbero sui mercati inspiegabili volumi di fertilizzante proveniente dalla Turchia. Un risiko che paga chi coltiva grano.
Autore: Paolo Viana
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