Produrre grano duro in Italia è sempre più difficile. Secondo i dati ISMEA, pubblicati di recente (leggi la notizia), i costi medi di produzione hanno superato i 302 €/t al Nord e Centro e i 318 €/t al Sud e in Sicilia, con un saldo negativo proprio nelle aree dove il frumento duro rappresenta una coltura cardine nei sistemi agroalimentari.
Il problema, come spiega il Dott. Michele De Santis (DAFNE – Università di Foggia), è strutturale e non riguarda solo l’andamento dei mercati: «si consolida in Italia l’esistenza di un gradiente pedo-climatico dal nord al sud che vede decrescere progressivamente la resa ottenibile in relazione alla yield potential del frumento duro. Allo stesso tempo, la diminuzione delle quotazioni e l’aumento dei costi di produzione (oltre 1.000 €/ha secondo ISMEA) fanno sì che gli ordinari livelli produttivi di molti areali del centro sud (2,5-3,5 t/ha) siano economicamente insostenibili o a forte rischio deficit».
L’agronomia rischia di passare in secondo piano
Secondo il ricercatore, nell’ambito di questo contesto le considerazioni agronomiche non sono più prioritarie: «ragionamenti di carattere tecnico e agronomico – ci dice – passano in secondo piano rispetto all’attuale scenario che mette a rischio le semine in diversi areali, già gravemente penalizzati negli ultimi anni».
La soluzione? Ridurre i costi dei mezzi tecnici, tra input e trattamenti fitosanitari, si rivela una scelta che rischia l’effetto boomerang. De Santis, infatti, aggiunge: «una revisione al ribasso della gestione agrotecnica, al fine di ridurre i costi, può portare ulteriori ripercussioni sia sulle rese che sulla qualità». Un’ulteriore complicazione è data dall’andamento meteorologico con temperature medie più elevate e precipitazioni sempre più irregolari, che aggravano il deficit evapotraspirativo delle colture. Nelle parole del ricercatore: «l’attuale andamento termo-pluviometrico sembra preparare la tempesta perfetta».
Quali soluzioni?
Quali sono le soluzioni a cui gli agricoltori possono fare ricorso? In queste condizioni, i contratti di filiera restano uno strumento importante, ma non sufficiente, secondo Michele De Santis, infatti, se le rese raggiunte non sono accettabili, soprattutto in certi areali del Sud, anche le condizioni della filiera rischiano di essere insostenibili economicamente. Qual è, quindi, la chiave di tutto? Quel che è certo è che non c’è una ricetta già scritta, ma «resta fondamentale il ruolo della ricerca, pubblica e privata, e della cooperazione di filiera ed interprofessionale per fronteggiare le attuali sfide».
Autore: Azzurra Giorgio
Immagine creata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.
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