Continua il ciclo di interviste sulla storia del frumento in Italia con il Prof. Tommaso Maggiore, già Professore Ordinario di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee e Accademico ordinario dei Georgofili, Firenze (nella foto). Proseguiamo con la storia del grano tenero, partendo dagli inizi del ‘900: gli articoli successivi arriveranno fino ai giorni nostri, passando per la Battaglia del grano e giungendo fino alle TEA.
Siamo con il Prof. Maggiore, buon conoscitore di grano e non solo. Parliamo di grano tenero a partire dal 1900. Perché?
In quell’anno non erano state avviate azioni specifiche di miglioramento e in Italia erano coltivate una quindicina di varietà di grano tenero, oltre ad una infinita quantità di popolazioni. Tra le varietà più note ai primi del ‘900 vi era la Rieti, molto alta, anche 180-190 cm., era ben considerata sia in Italia centrale che nel nord perché resistente alle ruggini, anche se tardiva. Tutte le varietà disponibili erano sostanzialmente tardive. Al nord, per esempio, altra varietà molto coltivata specie in Veneto era il Gentilrosso. Nel sud vi era un miscuglio di popolazioni coltivate, tutte aventi quello che, anche per le agrotecniche di allora, era considerato un difetto, ovvero una altezza notevole che portava spesso ad avere allettamento. Questo significava faticare di più nella mietitura e, se avveniva precocemente, avere decurtazioni di resa non indifferenti.
Dunque, tutti questi grani erano tardivi e subivano le ruggini, tranne il Rieti; quindi, le produzioni che si conseguivano mediamente non superavano i 10-12 quintali per ettaro. A fine ’800–primo ‘900, in tutte le provincie si pensò di fare innovazione nell’assistenza tecnica agli agricoltori, non più in forma scritta, ma orale. Provincia per provincia, con gradualità diverse, man mano che si disponeva delle persone, si diffuse un modo nuovo per diffondere agrotecniche innovative. Le persone necessarie provenivano dalle principali Scuole Superiori di Agricoltura, ovvero Milano, Portici e anche Pisa.
Come avveniva concretamente?
Si crearono ad opera delle Province le Cattedre ambulanti di Agricoltura . I Cattedratici ( venivano chiamati professori) frequentavano minuziosamente tutta la provincia fermandosi nei luoghi di aggregazione come ad esempio le osterie. Per contratto, il cattedratico aveva l’obbligo di fare non meno di 100 conferenze all’anno, parimenti ai collaboratori di cui si circondava. Oltre alle conferenze, si mettevano in atto anche azioni dimostrative delle tecniche agronomiche da diffondere. Certamente le cattedre sono state incisive nel modificare il panorama tecnico italiano, molto di più di qualsiasi altra azione. Furono, poi, trasformate nel 1935 perché il fascismo volle orientare e uniformare l’assistenza agli agricoltori direttamente dal Ministero: si passò, quindi, agli Ispettorati agrari provinciali e regionali (compartimentali) alle dipendenze del Ministero dell’Agricoltura.
Tornando alle “cattedre”, si pensi ad esempio che lo studio e l’applicazione degli avvicendamenti colturali, territorio per territorio, è dovuto a loro. Anche l’introduzione della zootecnia, ad esempio nella provincia di Mantova, è frutto dell’impegno del capo della cattedra ambulante che fra le tante cose fatte costituì il Consorzio Agrario per l’acquisizione collettiva dei mezzi tecnici. Nello stesso periodo, venne stimolata la creazione delle cooperative: un esempio per tutte è la Soresinese che raggruppò 400 grosse aziende del cremonese per la lavorazione del latte. Anche l’impatto delle Cattedre sulla coltura del frumento fu forte, cosa che fu evidente poi con la cosiddetta Battaglia o Vittoria del grano.
Tra i cattedratici ambulanti vi era anche un certo Nazareno Strampelli, giusto?
Esatto: nel 1900 venne chiamato a Rieti per la cattedra ambulante un giovane marchigiano, Nazareno Strampelli. Non sapeva molto di genetica, inizialmente; erano gli anni della riscoperta delle leggi di Mendel ma le trattavano più i botanici che i tecnici operativi. A Rieti, Strampelli si rese conto che in tutta la pianura si coltivava appunto la varietà Rieti che aveva il difetto di essere soggetta ad allettamento, seppur resistente alle ruggini. Volendosi, quindi, focalizzare sul frumento, ottenne la disponibilità dell’azienda San Pastore e di creare una Stazione Sperimentale di Granicoltura, divenendone il direttore. Iniziò subito a lavorare sugli incroci con il supporto della moglie Carlotta (nella foto, i due coniugi): quest’ultima lo aiutava soprattutto a demasculare e impollinare, poiché il nostro non aveva una grande “vista”. Chiamò il primo grano costituito e derivato da incrocio e selezione Carlotta, in onore della moglie.
Si costituì anzitutto una collezione di germoplasma contenente materiali italiani e stranieri per anzitutto studiarla al fine di scegliere quelli utili per effettuare il miglioramento genetico. Mi piace qui ricordare che il primo dei fratelli Ingegnoli (che girava il mondo alla ricerca di piante non presenti in Italia) gli fece avere del seme di una varietà giapponese particolarmente bassa, dal nome Akagomughi. Dall’Olanda, invece, gli arrivò il seme della Wilhelmina Tarwe, caratterizzata da alta produttività, ma tardiva.
Cosa voleva ottenere da questi incroci?
Strampelli iniziò a fare incroci di tutti i tipi, con la prima idea di abbassare la taglia e precocizzare i frumenti allo scopo di adattarli al meglio alle condizioni climatiche italiane, caratterizzate da carenza idrica ad un certo punto della stagione primaverile. Obiettivo finale era l’incremento della produttività attraverso una ottimale densità di piante con spighe capaci di contenere un gran numero di cariossidi.
Utilizzò, quindi, materiali precoci, ne abbatté la taglia con Akagomughi e ottenne grani alti poco più di 1 m. Non mancavano le difficoltà ma iniziò a licenziare le prime varietà. Contrariamente a quanto si fa oggi, queste non erano perfettamente omozigoti: si lasciava un po’ di variabilità per la fretta di vederle in campo e misurarne le performance. Non aveva molto spazio per le parcelle di prova, doveva usare ambienti diversi, con il supporto degli amici, in giro per l’Italia. Di certo, apprese le leggi di Mendel, dopo i suoi primi incroci fece un numero enorme di incroci e reincroci ( circa 1000) e selezionò, conservando campioni di cariossidi man mano che procedeva nella selezione. Ancora oggi, nei corridoi della vecchia Stazione sperimentale di Rieti e in qualche sala del Ministero dell’Agricoltura , si possono vedere i barattoli di vetro con i campioni di frumento di Strampelli.
Chi moltiplicava il seme, però?
Questa era una delle maggiori difficoltà: per risolverla, Strampelli creò abbastanza presto l’Associazione Rietina delle Sementi, ARS di Rieti, poi divenuta Associazione Riproduttori Sementi che rappresentava una prima base. A Bologna, poi, nacque la Produttori Sementi ad opera di Todaro nel 1911. La vera diffusione del materiale precoce di Strampelli si ebbe con l’inizio della cosiddetta Vittoria o Battaglia del grano che si avviò nel 1924, divenne concreta nel 1925 e andò avanti fino al 1938-40. Si pensi che in quel periodo l’Italia coltivava qualcosa come il 40% della SAU a frumento. Vi erano province o regioni come la Lombardia dove si avevano quote del 30% che, se si considera anche l’area montana presente in Regione era una superficie enorme, lo stesso dicasi del Piemonte. In Centro Italia si aveva anche il 40-50% della SAU coltivata a frumento tenero.
La produzione nazionale, tra tenero e duro, era 55 milioni di quintali. A 10 anni dall’inizio della Battaglia, si era a 75 milioni di quintali, senza grande aumento di superfici, ma solo grazie al miglioramento genetico e all’adeguamento delle agrotecniche.
Leggi anche il racconto del grano duro in Italia del Prof. Maggiore
Autore: Azzurra Giorgio
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